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La Fondazione Veronesi porta la speranza in Campidoglio

Natascia D’Agostino ha un corpo statuario e lo sguardo appena velato. Legge i suoi appunti solo per controllare l’emozione.

Potrebbe raccontare ogni sfumatura della sua storia di malata di cancro al seno, ma non vuole consegnare se stessa ai presenti. Si capisce che il ricordo la strazia ancora, che fa uno sforzo solo per rendere omaggio a che si è preso cura di lei e del bambino che aspettava quando ha scoperto di essere malata.

Guarda con dolcezza e gratitudine Umberto Veronesi e chiude il suo intervento davanti al pubblico presente ieri nella sala della Protomoteca del Campidoglio a Roma. L’occasione è la giornata della premiazione dei Grant 2011 della Fondazione Veronesi: cinquantotto borse di studio per ricercatori e gruppi di ricerca. In tempi di crisi sembrano quasi un miracolo.

Una giornata fortemente voluta dalla Fondazione e dal suo presidente, Paolo Veronesi. Un’occasione per offrire visibilità all’”esile” ricerca italiana, come la definisce Umberto Veronesi, che nel suo intervento non si concentra solo sugli aspetti scientifici della malattia: l’analisi del DNA, la ricerca del “minimo trattamento efficace”, ma piuttosto sull’importanza della qualità della vita, sulla collaborazione tra i popoli, sulla fertilizzazione delle idee.

E dagli interventi dei suoi tre pazienti, o meglio ex pazienti, si capisce che la ricerca è mirata anche a restituire rapidamente al malato la sua dignità e quotidianità. Elena D’Averio ha i capelli rossi raccolti da un piccolo fermaglio, sua madre è morta di cancro al seno a trentaquattro anni, lei si è ammalata  più tardi. E’ stata operata e per cinque mesi è andata a farsi la chemio in motorino. Oggi, con un piccolo vezzo femminile  può sciogliere i capelli e mostrarli a tutti noi, dopo la chemio, non sono caduti. Un altro piccolo passo avanti. Umberto Veronesi le aveva procurato un’intervista a Striscia per raccontare la sua storia. Antonio Ricci non l’ha mai mandata in onda, non era credibile che Elena stesse così bene a pochi giorni dall’intervento.

L’ultimo è Gigi Renai, fumatore incallito dai dodici ai cinquant’anni, uno di quelli che ha sempre pensato, a me non può succedere. Invece il cancro ai polmoni è arrivato, e lui, è salito sul tapis roulant e s’è lasciato trasportare con fiducia. Dopo dieci giorni dall’intervento, ha ripreso a lavorare. Gianni Letta, presente in rappresentanza del governo, ha definito Umberto Veronesi “poeta” del dolore delle donne. Sicuramente le capisce, le riconosce, non le strapazza, le rispetta.
Annamaria Di Fabio.

Redazione

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