Sentire che alcune borse Valentino vengono prodotte in Cina può far storcere il naso a molti. “Ma come? Non è un marchio di lusso italiano?” La risposta è sì, ma il mondo della moda non è così semplice.
Oggi tantissimi brand, anche quelli più blasonati, producono parte delle loro collezioni all’estero senza per questo rinunciare alla qualità. Delocalizzare aiuta a mantenere prezzi competitivi e, se i controlli sono rigidi, il prodotto finale rimane all’altezza delle aspettative. Quindi, prima di pensare a una truffa, meglio approfondire la storia dietro queste borse. Ma nella questione di oggi c’è di più: la battaglia legale tra Valentino e Mario Valentino.
Due marchi con nomi praticamente identici che da decenni si contendono lo stesso spazio nel mondo della moda. Tutto parte negli anni ’70, quando per evitare confusione tra i clienti, le due aziende hanno firmato un accordo: Mario Valentino poteva usare il nome “Valentino” per borse e calzature, mentre Valentino Garavani manteneva il marchio completo per i suoi prodotti. Sembrava la fine del problema, ma no, perché negli anni le tensioni non sono mai sparite.
Due marchi, un solo nome: la storia di Valentino e Mario Valentino
Da una parte c’è Valentino Garavani, che nel 1960 ha fondato la sua maison a Roma. Dall’altra c’è Mario Valentino, che già nel 1952 aveva iniziato il suo percorso a Napoli, specializzandosi in pelletteria e calzature. Il padre di Mario, Vincenzo Valentino, ha avuto un ruolo importante nella storia della moda, contribuendo a introdurre il tacco a spillo e il mocassino, due elementi che hanno rivoluzionato il modo di vestire delle donne e degli uomini. Per anni, il marchio Mario Valentino è stato sinonimo di artigianalità e materiali pregiati, una vera eccellenza italiana nel settore della pelletteria.
Peccato però che oggi la situazione sia ben diversa. Molti dei prodotti firmati Mario Valentino non vengono più realizzati in Italia, ma in Cina. Ed è proprio qui che nasce il malcontento della maison Valentino Garavani. Se il nome “Valentino” viene associato a borse prodotte con standard qualitativi inferiori, è facile che i consumatori possano fare confusione e pensare che la maison di alta moda abbia abbassato il livello. Un rischio che Valentino Garavani non può permettersi, considerando che la sua immagine si basa proprio sull’esclusività e sulla qualità dei materiali.

Negli anni ‘70, come abbiamo accennato, per evitare questo tipo di problemi, le due aziende hanno deciso di mettere nero su bianco un accordo di coesistenza. Mario Valentino ha ottenuto il diritto di utilizzare il nome “Valentino” per le borse e gli accessori in pelle, ma con un obbligo preciso: il suo nome completo doveva essere sempre ben visibile su ogni prodotto, sia all’esterno che all’interno e sul packaging. Dall’altra parte, Valentino Garavani ha potuto continuare a usare il suo nome per l’abbigliamento, ma sugli accessori in pelle doveva comparire solo il celebre “V-logo”, la V racchiusa nell’ellisse.
Ma come spesso accade, gli accordi del passato possono diventare problemi nel presente. Nel frattempo, infatti, la percezione del nome “Valentino” nel mondo della moda è cambiata. La maison romana è diventata sinonimo di lusso assoluto, mentre Mario Valentino ha intrapreso una strada più commerciale. Di conseguenza, chi compra una borsa con il nome “Valentino” senza fare troppe ricerche potrebbe pensare di acquistare un prodotto della maison Garavani, quando in realtà si tratta di tutt’altro.

Il rischio è che i clienti si sentano ingannati e associno prodotti di qualità inferiore alla maison romana. La battaglia legale è approdata in tribunale, e nel 2021 il Tribunale di Milano ha dato ragione a Valentino Garavani, stabilendo che Mario Valentino non aveva rispettato l’accordo. Secondo la sentenza, le borse erano etichettate in modo ambiguo, e l’uso del nome “Valentino” era troppo evidente rispetto alla dicitura completa. Questo poteva creare quella confusione che l’accordo del 1979 avrebbe dovuto evitare.
E ora? La battaglia è tutt’altro che conclusa. Mario Valentino può continuare a usare il nome solo perché l’ha registrato per primo nel settore della pelletteria. La maison Garavani, però, non sembra più disposta a tollerare questo utilizzo, soprattutto considerando che la produzione del marchio napoletano non è più quella di un tempo. La questione è ancora aperta, e l’industria della moda sta osservando attentamente l’evoluzione della vicenda.
Una cosa è certa: il branding e l’identità di un marchio sono tutto in questo settore. E chi compra una borsa “Valentino” ha il diritto di sapere esattamente da quale Valentino provenga.