Quando si parla di eventi importanti, come matrimoni o cerimonie di grande rilievo, c’è sempre una preoccupazione che frulla nella mente: “e se qualcuna arriva con lo stesso abito?”.
Non è un caso che questa sia una delle situazioni più ricorrenti nelle commedie romantiche, quelle scene imbarazzanti dove le protagoniste si ritrovano a dover affrontare il terribile momento del doppione. Ma stavolta non siamo in una fiction, ma in un evento di fama mondiale, con tanto di occhi puntati da tutte le parti del globo. È proprio quello che è accaduto al MET Gala, la serata più esclusiva dell’anno.
Mentre l’attenzione di tutti era rivolta a un evento che rappresenta il cuore pulsante della moda mondiale, due star si sono ritrovate a vivere la stessa paura che tutti noi conosciamo. Il MET Gala alla stregua di una commedia romantica qualsiasi, insomma. Quella stessa paura di indossare lo stesso abito, che in un’altra circostanza avrebbe solo suscitato qualche risata, qui ha creato imbarazzo tra i giornalisti e in molti, forse, anche tra i protagonisti. Ma andiamo con ordine.
Il MET Gala e il paradosso dell’unicità condivisa: Zendaya e Anna Sawai
Quest’anno l’evento ha riportato al centro della conversazione un tema potente e necessario. “Superfine: Tailoring Black Style” è il titolo della mostra collegata all’evento. È un’indagine visiva e culturale che attraversa tre secoli di storia del dandismo nero nella moda e nell’identità culturale afroamericana. Dietro il titolo c’è un lavoro curato con attenzione, ispirato al libro Slaves to Fashion di Monica L. Miller, che racconta come il dandismo nero sia stato, ed ancora è, un modo per resistere, affermarsi, distinguersi in un mondo che spesso ha negato visibilità. Il dress code della serata, “Tailored for You“, spingeva proprio in quella direzione, una sorta di sartoria dell’identità. Eppure, proprio lì, dove l’unicità dovrebbe dominare, si è verificato l’incidente di stile che nessuno si aspettava.

Ma ritornando al caso mediatico che accennavamo, le protagoniste sono state Zendaya e Anna Sawai. Due donne incredibili, due carriere diverse, due nazionalità lontane. Eppure, la stessa scelta cromatica, lo stesso richiamo anni ’70, quell’eco inconfondibile di Bianca Jagger in completo bianco. Zendaya è arrivata con pantaloni a zampa, giacca aderente, gilet, cravatta e quel cappello a tesa larga che dava al tutto un’aria da diva anni d’oro di Hollywood. E fin qui, tutto perfetto. Ma poi, a pochi minuti di distanza, ecco Anna Sawai sfilare con un completo quasi gemello. Stessa palette, stessi riferimenti stilistici.

L’imbarazzo si è fatto sentire, soprattutto tra i giornalisti. Perché, in un evento dove l’originalità è tutto, due look così simili diventano subito materiale da confronto. E non importa se entrambe erano meravigliose, se ognuna ha portato il proprio stile e la propria storia. In quel momento, la narrazione è diventata un’altra. I fotografi scattavano, i commentatori prendevano nota e, come sempre accade, i social hanno cominciato a fare il loro lavoro: confronti, meme, sguardi taglienti.
Quello che colpisce, però, è come tutto questo abbia un retrogusto ironico. In una serata costruita per omaggiare la sartoria personalizzata, pensata come un’espressione dell’identità, è proprio l’effetto fotocopia ad attirare l’attenzione. Ma forse è anche un invito a rivedere certi meccanismi. Se due donne scelgono lo stesso codice estetico, forse è perché quel codice funziona. Perché risuona, ha un significato, comunica qualcosa di forte. E allora non è tanto l’originalità a mancare, quanto la nostra capacità di leggere oltre la superficie.
In fin dei conti, quella sera al MET non ha vinto chi ha indossato l’abito più strano o chi ha azzardato di più. Ha vinto la conversazione. Perché, alla fine, la moda è anche ciò che accade attorno, quello che ci fa discutere, ridere, persino arrossire.