Lo smalto semipermanente ai piedi può essere un problema, soprattutto quando l’unghia naturale cambia forma. Il problema non è solo estetico.
Il semipermanente ha cambiato tutto. Niente più smalto scheggiato dopo due giorni, colore lucido che resiste per settimane, piedi sempre a posto anche in pieno inverno. Sulla carta, un sogno. E infatti sono in tante ad averlo adottato come routine, soprattutto nei mesi più caldi. È pratico, comodo, dura. Ma c’è un dettaglio che spesso sfugge, o meglio, che si nota solo quando il fastidio arriva. Non subito, ma col tempo. Una strana pressione sull’unghia, una sensazione di disagio nelle scarpe chiuse, magari una forma che cambia.
Le unghie dei piedi non sono come quelle delle mani. Crescono più lentamente, ma subiscono pressioni molto più forti e continue. Ogni scarpa, ogni passo, agisce come una micro-compressione costante. E quando sopra quell’unghia c’è uno strato rigido, polimerizzato sotto lampada, che non si adatta, qualcosa può iniziare a dare problemi. Il semipermanente, per sua natura, non si muove con l’unghia. Rimane lì, fisso, anche quando la forma naturale cambia. E questo attrito invisibile, ripetuto giorno dopo giorno, può creare piccole reazioni.
Onicolisi, incarnimento, rigidità: i rischi nascosti del semipermanente
Il semipermanente, anche quello monofase o con basi più elastiche, resta comunque un composto rigido. Una volta polimerizzato sotto la lampada, si trasforma in una rete compatta, costruita con polimeri che non seguono le naturali flessioni dell’unghia. È pensato per durare, non per adattarsi. E quando lo si applica sulle mani, in genere la questione si risolve da sola: le mani restano libere, poco compresse, meno soggette a variazioni strutturali. Ma sui piedi la storia cambia, e non di poco. Il piede è sempre vincolato. Nelle scarpe, anche le più comode, l’unghia lavora, si adatta, si piega leggermente, anche solo per effetto della camminata.

Il problema arriva quando lo smalto resta fermo, e l’unghia sotto no. La pressione continua crea nel tempo piccole alterazioni: microtraumi, a volte impercettibili, che colpiscono la lamina ungueale. Il rischio più comune è che la lamina inizi a sollevarsi, soprattutto ai bordi, fino a sviluppare onicolisi. Oppure che inizi a spingere lateralmente, creando un’incarnitura lieve ma fastidiosa. Situazioni che si manifestano gradualmente, ma che hanno tutte un’origine meccanica. Una tensione che si crea tra due materiali non compatibili nei loro movimenti.
A rendere tutto più complesso è il fatto che il semipermanente ha uno spessore superiore rispetto allo smalto classico. Anche i prodotti più sottili, una volta induriti, creano uno strato più spesso. E quello spessore, su un’unghia che dovrebbe flettersi anche solo di pochi millimetri, diventa un limite. Si parla spesso della comodità di avere i piedi sistemati per settimane, ma si parla molto meno di cosa succede all’unghia sotto quello strato.

Nel composto del semipermanente ci sono oligoesteri e fotoiniziatori. Una volta esposti alla lampada UV o LED, questi componenti si legano creando una rete rigida. Sì, ci sono plastificanti per aumentarne l’elasticità. Ma non abbastanza da compensare i cambiamenti di forma che l’unghia può subire ogni giorno. La struttura finale resta comunque più dura rispetto alla superficie su cui si applica. Non c’è un adattamento reale. E questo diventa un problema soprattutto su unghie piccole, strette, o con una crescita irregolare.
Certo, il semipermanente ha rivoluzionato l’estetica, e non è il caso di demonizzarlo. Ma conoscere i suoi limiti tecnici è essenziale. Non si tratta di una reazione allergica o di un errore di applicazione. Si tratta di dinamiche fisiche, quasi invisibili, che però agiscono nel tempo. E quando si parla di piedi, dove l’unghia è più soggetta a compressioni e a pressioni costanti, anche un dettaglio come lo smalto può fare la differenza tra benessere e disagio.