Se vendi su Vinted potresti finire nel mirino del Fisco: meglio sapere prima cosa rischi

Chi vende regolarmente su Vinted potrebbe dover compilare un modulo. Capire quando si entra nel radar del Fisco è importante per evitare blocchi dell’account e problemi con i guadagni accumulati.

Il meccanismo di Vinted sembra semplice, scatti una foto decente, metti un prezzo giusto, rispondi al volo ai messaggi, impacchetti con cura e via. Ma quello che sembrava un gioco tra utenti con buon gusto e troppo shopping pregresso inizia a cambiare tono quando ti accorgi che ogni settimana qualcosa esce, e ogni tanto rientra. Soldi veri, anche se piccoli. A un certo punto non è più solo decluttering. E da lì le cose si complicano un po’.

L’ho capito quando è arrivato un messaggio automatico da Vinted, che avvisava che avevo quasi raggiunto le soglie previste dalla normativa DAC7. Non era spam, né un avvertimento allarmante, ma un promemoria concreto. Mi stavo avvicinando al limite oltre il quale Vinted è obbligata a segnalare l’attività all’Agenzia delle Entrate. La regola prevede che, se si superano 30 vendite in un anno o si accumulano più di 2.000 euro, la piattaforma deve raccogliere e trasmettere i dati del venditore. È una direttiva europea e vale per tutte le piattaforme digitali.

Cosa succede se superi le soglie previste dalla direttiva DAC7

Molti non sanno che, da quest’anno, le piattaforme come Vinted sono obbligate a raccogliere e inviare alle autorità fiscali i dati dei venditori che superano certe soglie. Non è una scelta della piattaforma, è una direttiva europea, e si applica a tutti in modo automatico. Il modulo DAC7 serve a formalizzare quei dati.

Non vuol dire che ogni persona che vende online debba pagare tasse, ma è un sistema per monitorare quando la vendita comincia a somigliare a un’attività vera e propria. La differenza la fa la frequenza, la quantità e la somma incassata. E se si superano i limiti indicati, Vinted ha il dovere di bloccare l’attività finché non vengono forniti i dati richiesti. In quel caso, non si possono più ritirare i guadagni né proseguire con le vendite.

donna che impacchetta
Cosa succede se superi le soglie previste dalla direttiva DAC7 – sfilate.it

Va detto che, in Italia, la vendita occasionale di oggetti personali non è soggetta a tassazione. Se vendi qualche capo usato per liberare spazio, non hai nulla da temere. Ma se il numero di vendite cresce e diventa costante, se i guadagni si accumulano e magari vendi anche oggetti acquistati appositamente, allora le cose cambiano. E non è una questione di malafede, ma di come la legge interpreta l’attività. In quel caso, potrebbe essere necessario dichiarare i redditi o aprire una partita IVA. Non succede automaticamente, ma è bene esserne consapevoli.

donna al pc
Blocchi, controlli e documenti: cosa sapere prima che accada – sfilate.it

Un consiglio utile è quello di tenere traccia delle vendite, anche con un semplice file o quaderno. Annotare cosa è stato venduto, per quanto, e a chi, aiuta a ricostruire eventuali situazioni in caso di domande o controlli. E se si pensa che il volume continuerà a crescere, chiedere un parere a un commercialista può chiarire ogni dubbio senza aspettare che sia la piattaforma a bloccare tutto. Parliamo di uno strumento di controllo fiscale, non una condanna per chi fa ordine in casa e vende quello che non usa più.

Vendere online resta un modo comodo, sostenibile e anche soddisfacente per rimettere in circolo oggetti ancora validi. Basta farlo con un po’ di consapevolezza, soprattutto se l’attività inizia a diventare più regolare. Conoscere le regole, sapere quando si superano certe soglie e come comportarsi, è già un buon punto di partenza.

Così si evita di trasformare un gesto semplice in un problema evitabile. E si continua a vendere con leggerezza, ma anche con chiarezza.

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