Non sono solo belli: gli occhiali cat-eye fanno qualcosa che non ti aspetti

Dietro la forma slanciata degli occhiali cat-eye c’è una storia poco nota, fatta di intuizioni artistiche e ribellione estetica. Un accessorio che sa parlare il linguaggio dei volti, e non solo dei trend.

All’inizio degli anni ’30, la scena dell’eyewear era piatta. Montature tonde, sempre uguali, dominate da un’estetica funzionale e maschile. Niente che parlasse davvero alle donne o che pensasse ai loro lineamenti. Poi, un giorno, Altina Schinasi – artista, regista e mente irrequieta – si fermò davanti a una vetrina e pensò che quegli occhiali erano proprio brutti. Sembravano usciti da un ritratto polveroso, buoni per Benjamin Franklin, non certo per le donne della sua generazione. L’idea le venne di getto: creare una forma nuova, più espressiva, ispirata alla maschera di Arlecchino. Così nacquero i cat-eye, chiamati inizialmente harlequin glasses.

La storia fece il suo corso. I grandi marchi inizialmente dissero no. Poi ci pensò una boutique di Madison Avenue a scommettere su quel design. E da lì cominciò il passaparola… attrici, scrittrici, donne di profilo pubblico iniziarono a indossarli. La svolta arrivò quando anche l’industria introdusse nuove inclinazioni per le lenti, più vicine alla forma del volto. Gli occhiali non erano più piatti. Potevano essere sensuali, dinamici. Potevano parlare. E quelli di Altina, con quell’allungo verso l’esterno, sembravano proprio farlo. Oggi li chiamiamo cat-eye.

Il ritorno di un classico che continua a reinventarsi: quando la montatura cambia il viso

Negli ultimi anni sono tornato sotto i riflettori, ma non hanno mai perso la loro anima. Cambiano i materiali, si moltiplicano le varianti, si alzano i volumi. Alcuni modelli sono così geometrici da sembrare quasi sculture, altri minimalissimi, quasi invisibili. Ma la funzione resta. Tirano su lo sguardo, alleggeriscono la parte bassa del viso, allungano. È un gioco di illusione, sì, ma efficace. Chi li prova spesso nota subito la differenza, anche senza sapere esattamente cosa sia cambiato.

occhiali cat-eye
Il ritorno di un classico che continua a reinventarsi: quando la montatura cambia il viso – sfilate.it

L’effetto lifting è parte del successo, ma non è tutto. I cat-eye piacciono perché sono versatili, riescono a coniugare retrò e contemporaneo, ironia e rigore. Sono adatti a chi vuole dare un tono senza sembrare troppo studiato. A seconda della versione, possono spostarsi da un’estetica Old Money a un look streetwear, da una vibe anni ’90 a un’eleganza francese da film d’autore. E non serve spendere una fortuna. Il mercato offre alternative per ogni budget, dalle capsule di design ai modelli più accessibili delle catene fast fashion. Il punto è trovare il taglio giusto, quello che lavora in armonia con il viso.

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Una forma che nasce da un’idea ribelle – foto realizzata con chatGPT – sfilate.it

Non tutti i visi sono uguali, e questo gli occhiali lo sanno. Su un volto rotondo, i cat-eye creano definizione. Su un volto quadrato, addolciscono. Con un naso importante, dipende tutto dal ponte. È qui che entra in gioco la prova: non basta che siano belli sullo scaffale, devono funzionare addosso. Alcune montature rischiano di chiudere troppo lo sguardo, soprattutto se le sopracciglia sono basse. Altre esagerano e portano l’attenzione sulla fronte.

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Icone contemporanee e nuovi modi di indossarli – foto IG @zendaya e @dualipa – sfilate.it

Il ritorno di fiamma è stato alimentato anche dalle celebrity. Bella Hadid li porta come fossero parte del suo viso, con naturalezza. Kylie Jenner esagera, come sempre, scegliendo volumi estremi. Zendaya li trasforma in un oggetto da red carpet (ma anche da tutti i giorni). E non dimentichiamo anche Dua lipa. E TikTok ha fatto il resto. Tra haul, filtri, trend Coquette e revival Y2K, il cat-eye è ovunque. Ma sotto i riflettori c’è sempre quella stessa idea nata su un marciapiede di New York: gli occhiali non devono nascondere. Devono valorizzare.

Il mercato ha capito che il cat-eye è diventato un punto fermo e l’ha adattato a ogni fascia di prezzo. Si va dalle collaborazioni di lusso come quella tra Jacquemus e Gentle Monster, che trasformano gli occhiali in oggetti d’arte, ai modelli basic di Zara o Mango, perfetti per sperimentare senza pensieri. E in mezzo ci sono proposte solide, come quelle di Ray-Ban o Le Specs, che mantengono il giusto equilibrio tra forma e funzione.

E se oggi sembrano così attuali, è perché parlano ancora quel linguaggio diretto pensato da Schinasi. Una forma che parte dagli occhi e arriva al carattere. Una visione che sfida i limiti dell’accessorio e si aggancia a qualcosa di più profondo. Dopo quasi un secolo, i cat-eye non hanno perso la loro funzione né il loro fascino. Sono nati per cambiare le regole e, in un certo senso, ci riescono ancora.

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