Le Balenciaga Zero Shoes sfidano l’idea tradizionale di calzatura, riducendo la forma a un gesto essenziale. Con un design in gomma modellata diventano un oggetto concettuale che divide e affascina.
Le ho viste per la prima volta in una foto e per qualche secondo ho pensato fossero un rendering. Non sembravano nemmeno scarpe, sembravano una provocazione stampata in 3D. Ma erano lì, firmate Balenciaga, fotografate da Demna in persona. Le Zero Shoes non hanno niente a che vedere con quello che ci si aspetta da una calzatura. Non sembrano nate per piacere, sembrano fatte per far parlare. E ovviamente ci stanno riuscendo. In un momento in cui tutto si assomiglia, è difficile restare indifferenti davanti a una scarpa che ha l’aria di voler sparire. O di voler ridurre tutto all’osso.
Eppure, più le guardi, più capisci che il punto non è la funzionalità. È l’idea. Il piede diventa silhouette, la gomma prende forma senza appoggiarsi a nulla di familiare. Il tallone è avvolto, l’alluce bloccato, il resto lasciato andare. È una non-scarpa nel senso più letterale, ed è proprio per questo che funziona. Nel pieno di un’estate in cui il tema dominante è la leggerezza, la freschezza, la trasparenza, questa cosa strana e minimale riesce a parlare di moda con più forza di molte altre.
Perché le Zero Shoes dividono tra genio e provocazione
C’è una cosa che Balenciaga riesce a fare da anni con una precisione quasi irritante: ridefinire il concetto di strano fino a farlo diventare desiderabile. Le Zero Shoes non fanno eccezione. Il loro aspetto è spiazzante, eppure comunica qualcosa di molto preciso. Non cercano di essere belle. Non cercano neanche di essere comode nel senso classico. Sembrano fatte per cancellare il confine tra il piede e ciò che lo ricopre, come se l’idea fosse proprio quella di dimenticarsi di averle indosso. In un’epoca che chiede sempre più leggerezza, sia fisica che visiva, un oggetto così radicale trova spazio in modo quasi naturale.

Il materiale scelto, la gomma EVA stampata in 3D, è più vicino a un esperimento di design industriale che a una scelta stilistica. Non c’è cucitura, non c’è taglio, tutto è un unico pezzo modellato in forma organica. La suola riprende l’orma di un piede vero, con le sue curve morbide e imperfette. È un dettaglio che passa quasi inosservato ma che racconta molto dell’intenzione: riportare la scarpa a una dimensione quasi primitiva. Un’estensione minima del corpo, come se fosse parte della pelle stessa.
Ovviamente non sono pensate per tutti. Chi cerca sostegno o struttura farà fatica a trovarci senso. Eppure, è proprio qui che si apre il dibattito più interessante. Perché in fondo non è vero che tutte le scarpe devono essere comode. Alcune esistono solo per esistere. Come certe opere di design che non risolvono un problema ma creano un discorso. In questo caso, quello sulla presenza, sull’assenza, sul limite tra funzionalità e moda.

Il fatto che siano state fotografate dallo stesso direttore creativo, usando un iPhone, non è un dettaglio da poco. Rientra in quella narrazione volutamente anti-patinata che Demna porta avanti da stagioni. Un modo per rendere l’oggetto ancora più tangibile, quotidiano, reale. Come a dire: questa cosa che ti sembra assurda, esiste davvero. È qui, è a portata di mano, anzi di piede.
Infine, c’è il nodo del lusso. Perché sì, sono in gomma, sono leggerissime, sono ridotte all’essenziale. Ma non sono accessibili. Appartengono a quella zona in cui il prezzo non è dato dal materiale, ma dalla firma, dall’idea, dalla rarità. Parliamo di quasi 400 euro.