Quando il caldo diventa insopportabile e l’ufficio non perdona, trovare il modo giusto per vestirsi può sembrare difficile, ma si può senza rinunciare alla propria identità professionale.
Ci sono giornate in cui l’aria sembra ferma, il sole picchia già alle otto di mattina e la voglia di vestirsi è pari a zero. Hai la testa appoggiata al ventilatore mentre cerchi qualcosa che non ti faccia sentire intrappolata, sudata, fuori posto. Eppure ti aspetta una riunione, un ufficio, magari un cliente nuovo, e no, non puoi startene in pantaloncini e maglietta oversize, anche se vorresti. In quei momenti, più che un vestito, vorresti un piano di sopravvivenza. Perché l’estate vera, quella che entra nelle ossa e si infila ovunque, è il nemico silenzioso dell’abbigliamento professionale.
Non si tratta solo di caldo. È la gestione sottile tra apparire a posto senza sembrare infagottata, tra leggerezza e presenza, tra il bisogno fisico di non soffocare e l’idea che qualcuno, guardandoti, possa pensare che non ti interessi. Il confine è sottile. Vestirsi bene con 35 gradi è davvero una questione di sopravvivenza. Perché vuoi sentirti credibile senza rinunciare al conforto, vuoi essere elegante senza cucinarti viva. Ed è lì che nasce tutto: da questa tensione tra pelle appiccicosa e professionalità.
Come scelgo i capi che mi fanno respirare senza sembrare sciatta
Per me tutto è iniziato quando ho capito che non bastava indossare qualcosa di fresco, serviva anche che quel qualcosa avesse struttura. Un abito ampio può sembrare la soluzione più logica, ma se è troppo largo o troppo informe rischia di farti sembrare spaesata. E allora ho imparato a cercare linee fluide ma precise, che si muovono senza perdere forma.
Il taglio giusto ti salva anche quando sei stanca e sudata, anche quando la mattina non hai voglia di pensare. Quindi si può andare con abiti di lino ma non troppo ampi magari strutturati con un colletto e un po’ di manica, poi i pantaloni a palazzo e gonne midi ma sempre abbastanza fluide che non vadano a stringere il corpo.

Un altro passaggio fondamentale è stato cambiare materiali. Basta sintetici, anche quelli che sulla carta sembrano leggeri. Ho scelto lino, cotone popeline, viscosa buona. Li riconosci al tatto, alla prima lavata, al modo in cui reagiscono sulla pelle. Non tutti i tessuti naturali sono uguali e non tutti i capi in lino sono ben fatti, ma quando ne trovi uno che funziona lo tieni come oro. E lì dentro costruisci il tuo piccolo kit: due pantaloni che sai che reggono, una gonna che non si incolla alle gambe, una camicia che basta da sola o sopra una canotta.

Poi ci sono le scarpe, che in estate diventano una questione quasi filosofica. Non puoi andare in ufficio con le infradito, ma non puoi neanche sopportare dieci ore con i piedi chiusi. Le slingback sono una benedizione. Le scegli con attenzione, un po’ rialzate ma comode, con un colore neutro che non attira il sole. I mocassini in tela sono un’altra scoperta recente: sembrano formali ma lasciano respirare.
E parlando di dettagli, non riesco a rinunciare a qualche accorgimento beauty. Non tanto per apparire impeccabile, ma per darmi un senso di ordine. Un raccolto semplice che lascia la nuca scoperta, un blush leggero che dà vita al viso, gli occhiali da sole grandi quanto basta per attraversare la città con dignità. Non uso quasi mai fondotinta in questa stagione, ma porto sempre con me un’acqua termale spray, soprattutto quando devo passare da un ambiente all’altro.
Ogni mattina apro l’armadio e non cerco solo un vestito, cerco una soluzione. Ho imparato a conoscere il mio corpo anche da questo, da come reagisce ai vari tessuti, da quanto spazio mi serve per sentirmi a mio agio. Non vesto più solo per gli altri o per il contesto. Vesto anche per non perdere lucidità, per riuscire a concentrarmi, per non sentirmi a pezzi a metà giornata.